In questa pagina puoi trovare una breve descrizione delle opere d'arte presenti nella nostra chiesa

Dipinto Madonna della neve

Madonna della Neve, miracolo avvenuto a Roma, nella notte tra il 2 e il 3 agosto 352, alla presenza del Papa Liberio, del patrizio Giovanni e della moglie di questi. La Madonna apparve in sogno a due uomini e ordinò loro di consacrarle una chiesa nel luogo ove avrebbero trovato della neve caduta di fresco.. Il giorno dopo il Papa e il patrizio trovarono effettivamente la neve, e qui fecero costruire la basilica di Santa Maria Maggiore. Il dipinto è opera di Luigi Naccari, come testimonia la firma e la data apposte dall’autore, che lo realizzò nel 1836 su commissione dell’allora parroco di Fasana don Francesco Astolfi. Il biografo del pittore racconta che Luigi Naccari lo realizzò quando era appena diciottenne. Pur ampiamente citato dalle fonti è tuttavia, dal punto di vista fotografico, ancora inedito. Difficile stabilire con chiarezza la collocazione originaria di questo dipinto. Con ogni probabilità esso costituiva la pala dell’altare maggiore: in quel periodo, infatti, come testimoniano gli atti di archivio, la chiesa era dedicata alla Madonna della Neve. Numerose sono state anche le vicissitudini di questo dipinto che presenta qualche strappo e rattoppo mal fatto alla base. La cornice invece, molto sproporzionata, è stata fatta negli anni ‘70. Sul dipinto appaiono in primo piano il Papa Liberio (a sinistra, con piviale, stola e triregno) accompagnato da un diacono e da un cardinale, che ha un gesto di meraviglia alla vista della neve ai suoi piedi. Poi (a destra) il patrizio Giovanni, con tunica bianca e mantello verde, che addita la neve al Papa; al suo fianco la moglie del patrizio, con tunica rossa e velo bianco sul capo. In alto, su una nuvola, è la Madonna con il Bambino, entrambi benedicenti.

Crocefisso

L’imponente crocefisso misura cm 365x220x57. Di ambito trentino è dell’ultimo quarto del XVIII secolo (1775-1799). E’ in legno intagliato e scolpito e composto in diverse parti legate insieme fra loro. Poggia su un basamento processionale ligneo bicolore. Nelle foto di archivio si nota che questo crocefisso era ulteriormente completato con una serie di raggiere lignee poste negli angoli d’incrocio delle due parti della croce. La tradizione vuole, anche se non è confermata da documenti di archivio, che sia stato donato a questa chiesa parrocchiale dal seminario diocesano. E’ particolarmente venerato in questa chiesa da secoli. La Parrocchia, infatti, ogni cinque anni, celebra le feste quinquennali del Crocefisso, in prossimità della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, con imponenti manifestazioni religiose e altre iniziative pastorali. Anticamente era posto nella cappella a lui dedicata (la prima entrando a sinistra) fatta costruire appositamente da don Sante Marin), successivamente era stato posto sopra l’attuale tabernacolo in presbiterio. Nel 2000 è stato posto nell’attuale posizione, che non è definitiva, perché sproporzionato rispetto all’intero complesso del tabernacolo, degli angeli e del basamento sottostante.

Statua di S.Antonio da Padova

L’opera lignea è di Giorgio Voltolina da Lendinara, che la realizzò nel 1878, su commissione dell’allora parroco don Vincenzo Perini. Nelle note conservate in archivio, redatte dallo stesso parroco si legge: “Lì 14 settembre 1878. La nuova immagine di S.Antonio che ora si venera nell’altare, fatta dal valente artista Sig. Giorgio Voltolini di Lendinara fu pontificalmente benedetta nella mattina del 14 settembre 1878, alle ore 6.30 antimeridiane da sua Eccellenza Illustrissima e Reverendissima Mons. Vescovo di Chioggia Fra Lodovico Marangoni dei Minosri Conventuali di Padova, e dopo di averla benedetta celebrò la S.Messa dispensando il pane degli Angeli a molti devoti. Alle ore 10 ci fu l’orazione Panegirica ad hoc recitata dallo mons. Nicolò Bonaldo, vicario generale, indi Messa solenne in musica con assistenza della Stessa Sua Eccellenza, e terminata l’ultima Messa amministrò il S. Sacramento della Cresima, e nel dopo pranzo finalmente impartì la benedizione di G.C.Sacramentato. Per decorare poi questa bella funzione ci fù lo sbaro dei mortaretti cominciando sulla sera del sabato fino alla sera della domenica chiudendo con fuochi artificiali. Il tutto ordinato dal zelante e attento Re,do d. Vincenzo Perini Parroco e del suo cappellano d. Giuseppe Bonivento che lo aiutò”. Il Santo è ripreso frontalmente con il saio francescano. Tiene sotto il braccio destro, ripiegato verso il busto, un libro chiuso e nella mano destra un giglio bianco; con l’altro, invece, tiene in braccio il Bambino Gesù che, con le due mani, indica il volto del Santo. Poggia su una base lignea di colore verde. Lo sguardo del Santo, come quello del Bambino Gesù, sono rivolti ai fedeli che si apprestano a chiedere le grazie.

Dipinto con martirio dei santi Felice e Fortunato

Di ambito veneto l’opera risale all’ultimo quarto del XIX° secolo (!875-1899) ed è situato nella controfacciata a sinistra. Al centro, in primo piano, vi sono i santi Felice e Fortunato: uno già decapitato, riverso a terra, mentre l’altro, vestito da soldato romano, in ginocchio a braccia aperte, attende il colpo che gli verrà inferto dagli sgherri alle sue spalle. Dietro al gruppo si vedono due ufficiali a cavallo con bandiere; in alto vola un angioletto, recante le palme del martirio per i due santi. I due martiri sono i patroni titolari della diocesi di Chioggia. Il dipinto è composto secondo l’iconografia tradizionale del martirio, quale si vede, per esempio, nella pala di Marcantonio Franceschini (1728) conservata nella cattedrale di Chioggia. Ignoto il pittore della tela qui conservata, egli è comunque l’autore di vari altri dipinti di questa chiesa, tutti dello stesso formato e dimensioni. La menzione della presenza di questa tela è fatta nei diversi inventari custoditi in archivio parrocchiale a partire dalla seconda metà del 1800. E’ probabile che questa opera volesse esaltare l’appartenenza della Parrocchia di Fasana alla diocesi di Chioggia dopo che per lungo tempo era appartenuta alla Diocesi di Adria e che nei primi decenni di sussistenza come parrocchia autonoma, pur essendo già inserita nella diocesi Clodiense, era servita da sacerdoti della diocesi di Adria, come testimoniano le note di archivio parrocchiale. Senza dubbio è da considerare più antica la cornice in legno che racchiude la tela. Osservandola attentamente si può notare infatti che non coincide perfettamente con le misure della tela stessa e quindi ad essa in qualche modo adattata.

Dipinto S.Marco evangelista

Realizzato in abito veneto nell’ultimo quarto del XIX° secolo /1875-1899) è opera di un autore anonimo, probabilmente lo stesso che ha dipinto altri quadri presenti in questa chiesa. L’opera è situata nel presbiterio sulla parete di destra ed è di mediocre fattura. Il Santo, ritratto in piedi e di fronte, è barbuto, porta una tunica verde con mantello rosso e scrive con una penna d’oca su un codice tenuto aperto dalla mano sinistra. Poggia la gamba sinistra su una roccia. Accanto a lui, sempre a sinistra, vi è un leone suo simbolo. Sullo sfondo vi è un paesaggio con una montagna a destra. La cornice sembra essere più antica e poi adattata al dipinto. Tutti gli inventari parrocchiali citano la presenza di questo dipinto pur non menzionandone mai l’epoca o l’eventuale acquisto.

Dipinto S.Giovanni evangelista

Anche questo dipinto è stato realizzato in abito veneto nell’ultimo quarto del XIX° secolo e probabilmente è sempre opera dell’animo artista. L’opera è posizionata in presbiterio sulla parete di sinistra. Anche qui, la cornice sembra essere più antica e adattata poi al dipinto stesso. Il Santo evangelista è ritratto di fronte. E’ rappresentato giovane e con i capelli lunghi, biondi e ondulati, come nel resto dell’iconografia cristiana. Veste una tunica di un rosso intenso, lunga fino alle caviglie, finemente decorata (lo si comprende dalla lavorazione sullo scollo) e da una manica particolarmente ampia. San Giovanni indossa pure un mantello giallo oro di foggia grecoromana e un paio di calzari ai piedi. La sua mano destra è alzata in segno di predicazione e tiene nella sinistra un rotolo di papiro. Sullo sfondo un paesaggio parzialmente aperto. Alle sue spalle, a sinistra, l’aquila che è il suo simbolo.

Dipinto Stimmate di S.Francesco

E’ di ambito veneto, autore ignoto e dell’ultimo quarto del XIX secolo. Fonti di archivio ci fanno ritenere che questa opera sia giunta qui da una vecchia chiesa dedicata a Santa Giustina a Rovigo oggi non più esistente. Al centro il santo, in saio marrone e cordone, è inginocchiato a terra in posizione frontale. Le mani sono aperte per ricevere due raggi scendenti dal cielo che gli conferiscono il privilegio delle stimmate. Dietro vi è il paesaggio boscoso della Verna, la montagna sulla quale le ha ricevute, e un cielo nuvoloso. La presenza di quest’opera in questa chiesa è segnalata negli inventari parrocchiali della fine del 1800. Pur essendo già diffusa anche in questa zona la devozione a san Francesco d’Assisi è strano che l’unica presenza francescana iconografica in questa chiesa sia questa tela che rappresenta, fra l’altro, un episodio della vita del Santo non molto rappresentato nelle chiese venete.

Dipinto Morte e transizione di S.Giuseppe

Di ambito veneto e di autore ignoto è posizionato al centro della controfacciata sopra la bussola d’ingresso. Al centro, il morente san Giuseppe è steso su un letto, coperto, tranne i piedi, da un lenzuolo giallo. A sinistra è seduta Maria, vestita di rosso con manto blu. A destra Gesù è in piedi e alza le braccia per invocare la misericordia divina sul moribondo. Senza dubbio il riferimento è alla pietà popolare che ha sempre venerato san Giuseppe come patrono della buona morte. La tela è firmata e data in caratteri corsivi in basso a destra e si legge: “Baroni G.Battista/Medico/1872. Secondo alcune fonti questa tela è un lavoro dilettantesco di un pittore non altrimenti noto. La firma lasciata da chi ha commissionato l’opera (cioè il Baroni) indicherebbe che questa tela sarebbe dell’inizio dell’800. Una fonte fa giustizia a questo quadro. La si deduce dall’opera “Storia Religiosa del Veneto 2. Diocesi di Chioggia” edito dalla Libreria Gregoriana, di Mons. Dino De Antoni e Sergio Perini. A pag. 156, descrivendo il periodo della Riforma Napoleonica della Chiesa, Mons. De Antoni scrive: “Quando Loreo e Cavarzere appartenevano al dipartimento del Basso Po, nel 1803 furono scelti come delegati per Loreo don Stefano Baldini, che rinunciatario, fu sostituito dal Cappellano Orlandini, e per Cavarzere don Antonio Baroni”. Tenuto conto che a quel tempo Fasana era nel vicariato di Cavarzere e dipartimento di Cavarzere, è deducibile che sia lo stesso prelato don Antonio Baroni a commissionare l’opera al suo familiare G.B.Baroni. Di conseguenza, dato che don Antonio Baroni viene sostituito come delegato nel 1808, questo quadro è anteriore al 1872, che ne sarebbe, invece la data del dono, lasciando così anonimo l’autore.

Madonna delle Grazie

Di ambito veneto e autore ignoto del XVIII secolo (1700-1799). L’insieme è costituito da quattro unità in legno componibili fra loro: la statua della Vergine, il Bambino Gesù, il trono sul quale siede la Vergine, il basamento in legno dorato a foglia d’oro. E’ la statua processionale della Patrona. La Vergine è seduta sul trono, vestita con un vestito fiorato e porta un ampio velo che l’avvolge. Sul capo un’ampia corona regale, donata da un parrocchiano nel 2002, in sostituzione di quella più antica e ormai logora in ferro. La Vergine è raffigurata con lo sguardo rivolto verso il basso e la mano e il braccio destri protesi verso i fedeli, in attenta accoglienza delle loro suppliche. Reca nella stessa mano una corona del Rosario, in filigrana, anche questa donata di recente da una parrocchiana. Indossa due paia di orecchini in argento: un paio molto antico, l’altro, con pietre rosse, è stato donato da una parrocchiana nel 2007. La Vergine porta in braccio il Bambino Gesù e lo avvolge amorevolmente con la mano e il braccio sinistro. Lo stesso Bambino, raffigurato frontalmente, vestito di un abitino bianco, ha la mano destra indicante il cielo e sulla sinistra tiene in mano il mondo, al cui vertice è affissa una croce. Anche sul suo capo è posta una preziosa corona regale, dono sempre di un parrocchiano. Il trono è costituito da una sedia in legno particolarmente lavorata e decorata con figure di angeli al vertice, dominante il colore blu e oro. La base su cui appoggia l’intero complesso è in legno finemente lavorato, con diversi intarsi e stucchi e completato in foglia d’oro. Non si hanno notizie storiche precise sull’autore di questo complesso ligneo e sulla sua provenienza nella chiesa di Fasana. Probabilmente il tutto era già presente in questa chiesa prima che essa diventasse autonoma da Cavarzere. Senza dubbio una ispirazione all’arcipretale di Cavarzere c’è stata dal momento che nello stesso Duomo di Cavarzere c’è un simile complesso custodito nella Cappella del Crocefisso. All’inizio, utilizzata solo per le processioni, è stata posta in questo altare verso la metà del 1800 quando comincia a svilupparsi la devozione alla Madonna “vestita” (vedi volume della storia di Fasana conservato in archivio e in fase di revisione). L’immagine viene portata in processione solennemente l’ultima domenica di maggio (quando non coincide con la solennità del Corpus Domini). A questa immagine vengono attribuite da parte dei fedeli delle grazie ricevute. L’intero complesso è stato restaurato nel 2002.

Crocefisso

Tra le opere d’arte più antiche e più preziose conservate in questa chiesa c’è senza dubbio questo crocefisso conservato ora nella sacrestia adibita a cappella invernale. E’ una scultura lignea, di autore ignoto, risalente alla fine del 1400 o al massimo alla prima metà del 1500, unica nel suo genere in tutto il Veneto. L’immagine del crocefisso evidenzia alcuni particolari di rilievo. Nessuno sa da chi sia stata commissionata, eseguita, trasportata e pagata. L’unica certezza è che questo crocifisso è sempre stato in questo edificio di culto attuale e anche in quello più antico. Da un attento esame degli elementi stilistici sembra che l’abile artefice abbia lavorato nelle botteghe di Padova e Venezia, che abbia viaggiato molto oltre le Alpi e che abbia operato nella prima metà del XVI° secolo, periodo culturale particolarmente difficile a causa delle dottrine riformiste protestanti. Per l’anonimo artista questa croce non è la semplice unione del “patibulum”, il legno trasversale a cui era legato il condannato che percorreva il lungo tragitto fino al luogo dell’esecuzione, con lo “stipes”, il palo verticale, già piantato nel terreno. E’ invece, la massima espressione della sofferenza, particolarmente visibile nel volto (posto proprio sull’inserzione del patibulum con lo stipes), e della serenità interiore, perché Cristo ha portato a termine la sua missione. Quello che vediamo, infatti, è un corpo che ha patito gli stenti della fame e della sete, le frustate e le ingiurie. Le gambe sono schiacciate dal peso del corpo e le mani in una posizione di srprendente naturalezza, frutto, fra l’altro, di un accuratissimo studio tratto dai lavori di Giotto fino ai maestri del suo tempo. Solo i nervi tesi dei polsi, delle braccia e della clavicola lasciano percepire l’ultimo spasmo di vita di un uomo, il cui volto sconvolge per la dolcezza. Essa deriva dalla consapevolezza che quest’estremo sforzo non è stato invano e dalla speranza che gli uomini comprendano il gran dono che Dio ha fatto loro. Sul fatto che questa statua sia del Quattrocento possono a ragione sorgere dei dubbi. Innanzitutto perché è troppo diversa dalle rappresentazioni di quel periodo. Il Crocifisso di Fasana non ha le membra tornite e solide con i muscoli in evidenza. Il panneggio che copre il bacino non è ornato da nessun fregio, anzi è avvinto nell’addome con una rude corda. I capelli e la barba non sono biondi, lunghi, ondulati e inanellati, com’era consuetudine nel Rinascimento, ma propri di un uomo che ha molto sofferto da svariati giorni. Questi elementi, uniti al potente pathos del volto, sembrano avvicinare la scultura ai dipinti di Roger Van der Weyden, di Dirck Bouts e di altri pittori fiamminghi e tedeschi. Il nostro artista potrebbe aver visto tali opere durante alcuni viaggi all’estero o avere avuto notizie dello stile a Venezia, meta frequente di molti maestri d’arte. Le scelte stilistiche compiute sul Crocifisso di Fasana (semplicità, naturalezza e totale ripudio d’elementi sfarzosi) confermano che lo scultore è torbato dal complicato clima ideologico instauratosi con la Riforma, che rinnega le idee religiose provenienti d’oltralpe, ma che condanna la politica temporale della Chiesa, a favore di una religiosità più vicina alle origini. Un altro dettaglio che rende la statua lignea di Fasana singolare è il volatile posto in cima al patibulum, probabilmente una colomba (anche se il collo troppo lungo e il piumaggio lo fanno assomigliare ad un altro uccello), simbolo dello Spirito Santo. Fin dai tempi più antichi la mite colomba era rappresentata in sarcofaghi, mosaici, vetrate, litostroti e dipinti, ma raramente sopra simili sculture e in questo periodo. L’artefice, ancora una volta, ha recuperato un antico simbolo cristiano per dimostrare che, per lui, le scelte del mestiere coincidono con quelle spirituali, in un ultimo e immediato connubio d’arte e fede. Ulteriori studi fatti di recente su questo Crocifisso lo riportano invece in tutto e per tutto verso la fine del 1400, attribuendolo ad un autore tedesco non meglio precisato. Questai studi si fondano non soltanto su rilievi fatti sul crocefisso in questione, ma anche sul fatto che non è l’unica opera presente nella chiesa di Fasana (anche se è la sola visibile) che ha origine austriaca o tedesca (le altre opere non visibili, e di minor valore, sono documentate dagli inventari conservati in archivio parrocchiale. Come un quadro donato a questa chiesa dalla Nobil donna Contessa Guttramburg conservato nel corridoio di accesso alla canonica). Questo fa concludere a questi studiosi che il crocefisso sia realmente della fine del 1400 o al massimo inizi del 1500, che sia stato portato nell’ex chiesa padronale da famiglie tedesche e che poi sia rimasto qui anche successivamente.

Altre opere

Numerose altre sono le opere d’arte custodite in questa chiesa, anche se non visibili. Qui le elenchiamo soltanto: Un dipinto raffigurante san Luigi Gonzaga, olio su tela, della fine del XIX secolo. Alcuni calici in argento, di pregevole fattura, alcuni del XVIII° altri del XIX° secolo. Un dipinto, olio su tela, raffigurante san Giuseppe con Gesù Bambino della seconda metà del XIX° secolo. Una tela raffigurante il Sacro Cuore di Gesù del 1881. Alcuni reliquiari in argento, uno del XIX° secolo. Alcuni ostensori, uno dei quali del XVIII secolo. Alcuni oggetti sacri del XIX° secolo Tre paliotti in legno della prima metà della seconda metà del1800 Altri paramenti sacri del secolo XIX° Un messale romano pregevole del XVII° secolo I REGISTRI CIVILI E’ una serie di 8 registri (nascite, morti ecc…) che coprono il periodo della prima nmetà del 1800. Questo registri non sono parrocchiali sia per la fattura, sia anche perché la Parrocchia ha già specifici registri relativi a quel periodo che riguardano i battezzati, i matrimoni, i decessi, le cresime ecc… Questi registri sono di anagrafe comunale, probabilmente i pochi che si sono salvati quando, a seguito di una insurrezione popolare, molti ne sono stati bruciati sul sagrato della chiesa (vedi storia di Fasana). Probabilmente essi sono una testimonianza del periodo in cui Fasana era Comune. Significativo anche che, pur non essendo redatti e firmati da nessun parroco, ma bensì dal podestà e da altri funzionari civili di allora, si faccia menzione all’inizio di ogni pagina che il territorio è della parrocchia “Madonna della Neve” in Fasana” specificando anche il dipartimento ecc… Ciò ci dice che ancora in quel periodo la parrocchia non era dedicata alla B.V.Maria delle Grazie, e ciò conferma ulteriormente il motivo della presenza della tela del Naccari in questa chiesa. Questi registri sono stati scoperti casualmente dieci anni fa nel garage della canonica, e versano in precarie condizioni, tanto che facilmente si sgretolano. Per questo non sono visibili o consultabili al pubblico al fine di non danneggiarli ulteriormente. Sono scrupolosamente conservati nell’archivio storico della parrocchia. Qui riportiamo solo la foto di uno di questi registri.

Cappella del crocefisso

Il complesso di questo cappella, anticamente voluta e costruita per conservare l’imponente crocefisso che ora è posizionato nell’aula della chiesa, ha avuto lungo gli anni diverse ristrutturazioni. La cappella è stata costruita dalla ditta Arturo Rossi e F.lli nel 1912 su commissione dell’allora parroco don Sante Marin, come testimoniano gli atti del preventivo dell’opera e le bolle di pagamento ad opera compiuta. Precedentemente era solo accennato l’arco che era chiuso in muratura. Questa cappella, come scrive don Sante, deve avere le caratteristiche di quella di fronte. Nel luglio del 1913 la ditta Arturo Ronconi costruisce, su commissione dello stesso parroco, l’altare della cappella del Croscefisso, di cui oggi rimane solo una minima parte. L’intero complesso viene descritto come una struttura in muratura e dei rivestimenti in marmo di vario tipo, dei pilastrini decorati in rilievo, dei gradini (due sopra la mensa) e di due basi (in marmo di Carrara) poste lateralmente a sostegno di due statue. A lavori ultimati l’altare si presentava con alcuni gradini che lo rialzavano rispetto al pavimento; l’altare vero e proprio rivestito con marmi rossi e bianchi, ai lati dell’altare due basi su cui appoggiare le statue (San Rocco e San Luigi?) e sopra tutti il grande Crocefisso. L’accesso all’altare era infine delimitato da una balaustra (piastrini in marmo) con cancelletto. Oggi in questa cappella si può ammirare: LA STATUA LIGNEA DI SAN ROCCO, di autore ignoto, attribuita alla scuola del Brustolon, del sec. XVIII. Il santo è ripreso frontalmente, con barba, baffi e capelli lunghi. Tiene in mano un bastone. Vestito con gli abiti tipici del pellegrino (riferimento alla storia del Santo) è accompagnato ai piedi da un cagnolino. Sul capo porta un’aureola in argento, unica rimasta di un più consistente complesso argenteo, come documentano le foto di archivio

Statua di S. Luigi Gonzaga

LA STATUA DI SAN LUIGI GONZAGA, in gesso, di autore ignoto, della fine del XVIII secolo. Il santo è ripreso frontalmente, vestito con la talare nera e la cotta bianca e regge in mano un crocefisso, verso il quale rivolge lo sguardo, assorto in una contemplazione mistica. Sotto il braccio destro regge il giglio simbolo della purezza. Ripreso in età molto giovane e con un’espressione molto serena e dolce (rispetto alla tela dello stesso santo conservata nella sacrestia) ispira lo scopo per cui è stata commissionata questa immagine, cioè di protezione della gioventù e invito ad essa a conservare i valori della purezza come tesoro prezioso. LA STATUA DEL SACRO CUORE DI GESU’: La scultura in legno di Ortisei è del 1958 commissionata e acquistata dall’allora parroco don Sante Boscolo, come testimoniano i documenti di archivio. Il soggetto è ripreso frontalmente con barba, baffi e capelli lunghi, indossa una lunga veste bianca e un ampio drappo rosso che ne avvolge una spalla e parte del corpo. La veste e il drappo sono orlati con ricami dorati. Le braccia sono aperte con i palmi rivolti verso l’alto ad indicare le ferite della Passione. Un’altra ferita a forma di cuore attraversato dalla corona di spine con al vertice una fiamma ardente e una croce è posta al centro del petto. Completa l’immagine una grande aureola dorata in legno posta sul capo. Poggia su un basamento ligneo di colore verde. Particolarmente espressivo il volto che denota da una parte un amore e una dolcezza infiniti e dall’altra le sofferenze della Passione vissuta.

Altare S.Antonio da Padova

L’intero complesso, in stile veneziano, è costituito da una predella in marmo lavorato, l’altare con al centro il corpo centrale della mensa e due costoni laterali dai quali si dipartono due capitelli e due grosse colonne in stile corinzio. Al centro del corpo della mensa un paliotto in marmo rosso e bianco finemente lavorato con applicate forme geometriche ricolorate. Sulla parte superiore dei due costoni laterali sono infissi due stemmi in marmo bianco. Sopra la mensa un trasversale in marmo grigio, compreso fra due capitelli e le due colonne, funge da stacco fra la mensa stessa e l’ampia cornice in marmo bianco finemente lavorato che costituisce l’orlatura della nicchia nella quale è posta l’immagine del Santo. Questa stessa immagine poggia su un supporto marmoreo posto all’interno della nicchia stessa. L’intero complesso è chiuso da un ampio capitello triangolare finemente lavorato. Difficile stabilire la datazione storica dell’arrivo di questo altare a Fasana.

Lavori Vari

L’intero complesso del presbiterio ha avuto nel corso dei secoli numerosi rifacimenti. Costruito verso la fine del 1700, quando la chiesa ormai da tempo è ultimata e funziona come parrocchiale, era molto lineare come l’intero complesso della chiesa. Alla fine del 1800, l’allora parroco don Giuseppe Colombo, come lui scrive nelle note in archivio, lo arricchirà delle due colonne circolari e dei due mezzi capitelli vuoti sovrastanti, che legano le due colonne alla struttura della chiesa. Nel cornicione superiore che segue il perimetro dell’abside c’era una scritta in latino ad olio e foglia d’oro che richiamava la dedicazione della chiesa alla B.V.Maria delle Grazie. Una porta, sulla parete di sinistra, introduceva nella adiacente sacrestia. Su tutto emergeva centralmente l’imponente altare maggiore, collocato sotto l’attuale baldacchino in legno. Il presbiterio era anticamente delimitato da una fila continua di balaustre in pietra tenera di Vicenza, chiuse da un cancelletto centrale in ferro battuto. Alla fine del 1800, quando furono collocate le due colonne circolari, venne spezzata la linea continua delle balaustre dividendole in quattro sezioni rispettivamente dalle due colonne alle pareti e dalle due colonne al centro. Con i lavori eseguiti negli anni ’70, ad opera del parroco don Sante Boscolo, venne rimosso l’altare maggiore di stile benedettino del XVI° secolo, conservandone solo alcune parti che ora costituiscono l’altare della celebrazione e vennero rimosse anche le due parti centrali delle balaustre. Venne anche rifatto il soffitto, come del resto anche quello dell’intera chiesa, coprendo l’antica copertura a forma di botte in legno, con l’attuale in travi di cemento. Numerose sono le foto di archivio che ci testimoniano la precedente disposizione del presbiterio e dei lavori che sono stati eseguiti negli anni ’70. Oggi, nel presbiterio, si può ammirare: il baldacchino in legno intagliato, dipinto e dorato, situato a soffitto sopra la sede. E’ di ambito veneziano risalente al XIX° secolo. Una dossale di altare costituita dal tabernacolo e due angeli in pietra tenera di Vicenza, di ambito veneto, risalenti al XVIII° secolo (1790-1810). Mentre il basamento che regge questa dossale è stato costruito quando fu rimosso l’altare maggiore.

Particolari del Presbiterio

I due angeli e il tabernacolo, in pietra tenera di Vicenza sono del XVIII° secolo, di autore ignoto, realizzati in ambito veneto. Questi due angeli e il tabernacolo facevano parte di un complesso molto più ampio costituito dall’altare maggiore. Controverse sono le conclusioni a cui sono giunti appositi esperti in diversi sopraluoghi fatti. Alcuni sostengono che i due angeli e il tabernacolo formassero un gruppo a se stante, a completamento del precedente altare maggiore. Altri sostengono che i due angeli e il tabernacolo fossero parte di una più intero gruppo comprendente anche la statua della Madonna Assunta, che è in pietra tenera di Vicenza, ora posizionata nella cappella laterale all’ingresso della chiesa. Ci sono elementi che sembrerebbero appoggiare o smentire in parte sia l’una che l’altra tesi. Guardando le foto di archivio, anche prima che fossero eseguiti i lavori sull’altare maggiore negli anni ‘70, i due angeli che sono posti accanto al tabernacolo indicano un presumibile trono per l’adorazione eucaristica di cui se ne ha qualche accenno in qualche fotografia, ma che indubbiamente non è della stessa epoca. D’altra parte, per quello che riguarda la seconda tesi, pur riconoscendo che la base della statua della Madonna Assunta denota centralmente la preesistenza di un eventuale tabernacolo, c’è troppa differenza fra il tipo di pietra usata per questa statua e i relativi effetti cromatici, con quella dei due angeli e del tabernacolo. Anche se in diverse chiese dell’epoca esiste qualche complesso marmoreo o in pietra con una statua della Madonna Assunta, due angeli adoranti ai lati e il tabernacolo sottostante (vedi la chiesa padronale di Ca’ Labia). Se fosse vera questa seconda tesi, l’intero complesso degli angeli, del tabernacolo e della statua dell’Assunta sarebbero anteriori alla costruzione dell’attuale chiesa, avrebbero fatto parte dell’ex chiesa preesistente padronale e risalirebbero quindi almeno agli inizi del 1600. Certo è che tutti gli inventari parrocchiali (il primo risale alla prima metà del 1800) ne fanno menzione della loro presenza e sembrano far intendere che siano stati lì da sempre. Lasciando tuttavia agli esperti di redimere questa questione noi apprezziamo questi due angeli adoranti che sono ripresi di lato e tendono a indicare il tabernacolo, luogo della presenza eucaristica di Cristo. Particolarmente tendenti al mistico nei tratti del volto e delle mani, i due angeli sono raffigurati con un’ampia ala ciascuno. Il loro sguardo e il movimento delle linee dei vestiti dei due angeli, poggianti su due nuvole, invitano alla contemplazione del mistero dell’eucaristia e nello stesso tempo spinge oltre, in un passaggio tra l’umano e il divino che sembra indicare come nell’Eucaristia sia il pane del cammino tra la storia umana e la mèta definitiva divina.

Facciata esterna

Costruita sul finire del 1600 o inizi del 1700, la facciata esterna è stata oggetto di numerosi interventi di rifacimento e di ristrutturazione. Nella cuspide centrale, come dimostrano foto di archivio, era situata una croce particolarmente lavorata in pietra e vi era situato un rosone centrale successivamente murato. Attualmente si possono ammirare: Una statua in pietra tenera di Vicenza (XVIII sec.) raffigurante (in allegoria) LA FEDE, posta in alto a sinistra. Una statua in pietra tenera di Vicenza (XVIII secolo) raffigurante l’apostolo SANT’ANDREA, posta in alto a destra. Le statue della MADONNA DELLE GRAZIE, di SAN FELICE e di SAN FORTUNATO, Patroni della Diocesi di Chioggia,poste nelle relative nicchie rispettivamente al centro, a sinistra e a destra, sono in cemento e sono opera dello scultore Fabbris Vincenzo che le ha realizzate nel 1913 su commissione dell’allora parroco don Sante Marin, come testimoniano gli atti conservati nell’archivio parrocchiale. Una statua raffigurante il Redentore posta nella cuspide centrale, sempre in cemento, opera dello stesso Fabbris, e commissionata dallo stesso don Sante Marin nel 1913, è stata rimossa perché priva della testa e pericolante nel 2005.

San Gaetano da Thiene e S. Ignazio di Loyla

Di ambito veneto e autore ignoto, il dipinto, olio su tela, risale alla seconda metà del XIX° secolo (1850-1899). In alto, sulle nuvole, è seduta la Madonna, vestita di rosso e avvolta da un drappo blu sulle ginocchia. Le sue braccia sono totalmente protese verso il santo, che, inginocchiato in basso, tiene il Bambino Gesù appoggiato teneramente al petto. Due vispi angioletti volanti fanno corona. In basso è aperto un libro. Sullo sfondo ci è un dolce paesaggio collinare, caratterizzato da una densa ma non selvaggia vegetazione. Controversi sono i pareri dei critici d’arte sulla titolazione di questo dipinto anche se tutti sono concordi nella sua datazione. La controversia circa il fatto che nel dipinto sia raffigurato san Gaetano da Thiene o sant’Ignazio di Loyola è dovuta al fatto che nei documenti conservati in archivio parrocchiale si parla di un dipinto, olio su tela, raffigurante sant’Ignazio di Loyola, descrivendolo come un dipinto a pala di altare che completa un altare presente in sacrestia. L’ultimo parroco a farne menzione è don Sante Boscolo che allega alla sua descrizione anche una fotografia in bianco e nero del dipinto e dell’altare presenti in sacrestia con altri oggetti preziosi. In realtà, ad un esame non anche solo superficiale della descrizione dell’altare oggi non più esistente, come anche del dipinto, ci si accorge che sono due opere completamente diverse (vedi foto in bianco e nero). Infatti nulla a che fare il soggetto rappresentato e presente qui in chiesa ora con quello che fa riferimento la foto e la descrizione dei parroci. Si può notare, infatti, che il santo raffigurato nella foto (non si sa che fine abbia fatto quel dipinto) si differenzia da quello qui raffigurato perché indossa i paramenti liturgici (pianeta, camice ecc…) come diversi sono anche i soggetti rappresentati (su quello della foto è presente Gesù, degli angeli che sorreggono l’ostensorio con l’Eucaristia ecc…). Tutto lascerebbe pensare, dunque, che si tratta di due dipinti diversi e che quindi quello nella foto rappresenti sant’Ignazio di Loyola e quello attualmente visibile in chiesa rappresenti san Gaetano da Thiene. Qualche critico azzarda l’idea che il dipinto attualmente in chiesa sia stato rifatto coprendo quello della foto ormai rovinato, ma sembra un’idea poco sostenibile perché, se questo fosse vero, vorrebbe dire che questo dipinto è stato rifatto alla fine degli anni ‘60 o a metà degli anni ‘70, cosa poco sostenibile perché i colori usati nel dipinto ora in chiesa ne testimoniano il periodo della seconda metà del 1800.

Cappella della madonna Assunta

Di bottega veneta e autore ignoto, l’altare e le statue ivi contenute sono in pietra tenera di Vicenza e sono della seconda metà del XIX° secolo (1850-1899). La Vergine è ripresa frontalmente con lo sguardo rivolto al cielo, le mani e le braccia ampiamente aperte verso il basso. E’ vestita di una lunga veste e di ampio velo che donano movimento all’intera immagine. Sotto i suoi piedi la luna e sul suo capo una corona luminosa di 12 stelle. Lungo il busto due angeli sorreggono la Vergine nel gesto di portarla verso il cielo. Pregevole la lavorazione dell’intero complesso: l’espressività della Vergine e dei due angeli invitano ad alzare lo sguardo verso il cielo, ma nello stesso tempo sembrano quasi indicare e garantire che l’umanità non rimane orfana della Madre alla quale può continuare sempre ad affidarsi e nella quale troverà sempre ascolto e accoglienza materna. Alla base altri due angeli molto espressivi. La preziosa corona posta sul capo della Vergine è stata donata da un parrocchiano nel 2002. Non ci sono notizie storiche circa l’autore e la provenienza di questa statua perché essa faceva già parte della chiesa precedente, mente l’altare è senza dubbio della seconda metà del 1800. Un attento studio fatto da esperti in occasione dei lavori di risanamento e tinteggiatura della chiesa, con la conseguente pulitura degli altari e delle statue, ha evidenziato che questa statua anticamente non era posizionata nel luogo attuale. L’intera cappella che la conserva attualmente è molto posteriore come datazione rispetto alla statua, lo rivelano le fondazioni della cappella che è stata costruita e addossata alla chiesa successivamente, come pure l’altare sottostante, anche se quest’ultimo costruito con la stessa pietra di Vicenza. Per lungo tempo questa statua è stata denominata Madonna delle Grazie, anche se è evidente la rappresentazione come assunta (una luna sotto i suoi piedi, la coronano 12 stelle, lo sguardo rivolto verso il cielo, i quattro angeli che indicano chiaramente il movimento verso il cielo). Negli stessi menzionati lavori della chiesa sono emersi, come documentano le riprese fatte in quell’occasione, due ampi archi, ora murati, posti nella parete in linea con questo altare rispettivamente a destra e a sinistra di quello che era l’antico ingresso della chiesa, cioè sottostanti a dove ci sono gli attuali finestroni. Dalle misurazioni fatte sembra che questa statua, nella chiesa precedente, fosse situata nel primo di questi archi che formavano come delle nicchie. Il successivo ampliamento della chiesa e la diversa disposizione della chiesa, come descritto nella parte storica, hanno portato ad aggiungere le due cappelle laterali, compresa questa dove è stata posizionata l’immagine in questione. Sono invece opera dilettantistica e recente gli affreschi della volta della cappella.

Altare della B.V.Maria delle Grazie

Di ambito veneziato e autore ignoto, il complesso di questo altare merita particolarmente attenzione perché riassume in elementi di diverse epoche. L’altare è costituito da un insieme di più elementi: una predella in marmo bianco con striature rosse perpendicolari, due gradini in marmi bianco, mensa rettangolare formata quadripartita nel paliotto con marmi bianchi e verdi tendenti verso il centro su cui si staglia un rosone circolare con gli stessi colori marmorei e recante un’ampia croce con i terminali fatti a triangolo in marmo rosso. La mensa è completata con due costoni laterali in marmo rosso particolarmente lavorati poggianti su due basamenti in marmo bianco e parzialmente separati dalla mensa stessa. Sul piano superiore orizzontale della mensa, sempre in marmo, che racchiude insieme la parte centrale dell’altare e dei due costoni, è appoggiata una mensola in marmo grigio orizzontale, e un frontale in marmo rosso e bianco, compresi fra due basamenti in marmo rosso e bianco dai quali si dipartono due colonne circolari in marmo rosso culminanti con due capitelli di ordine corinzio. Su tutto sovrasta un grande capitello di forma triangolare in marmo bianco finemente lavorato con al centro uno stemma. Tra le due colonne e il capitello sovrastante si apre la grande abside circolare che racchiude la statua della Patrona, abside che è introdotta nel frontale da una cornice in marmo bianco composta da due colonne laterali e da un arco e alla base da una traversa sempre in marmo bianco. Al suo interno l’abside è formata da una volta circolare suddivisa in 6 parti, come tanti spicchi tendenti al centro, cinque dei quali abbastanza uguali e uno molto più ampio. La volta è sostenuta da quattro lesene culminanti con doppio capitello e ancorate alla base orizzontale dell’abside. Le pareti comprese fra le lesene e la base sono state murate negli anni ‘50, mentre al loro vertice sono posti dei punti luce circolari. Tutto il perimetro superiore che delimita la cupola dal resto dell’abside è finemente lavorato con tasselli in stucchi dando armoniosità all’intero complesso. All’esterno lo stesso complesso appare in tutta la sua forma circolare e denota che le parti murate fra le lesene erano degli archi a sesto acuto che permettevano una maggiore luminosità. Tutta questa struttura, come è visibile dalle fondazioni, dalle travature in legno e dalle stesse mura di sostegno, comprese oggi nell’attuale garage della canonica e altri locali attigui, è molto antecedente all’attuale chiesa. Le mura perimetrali, infatti, che da lì si dipartono per formare l’intera aula della chiesa e lo stesso attuale presbiterio, denotano di essere state addossate a questa struttura primitiva e che sono stati impiegati materiali molto diversi. In definitiva l’abside è molto anteriore al 1600. Il complesso dell’altare che è stato lì posizionato è proveniente da un’altra chiesa e qui adattato. Lo stemma posto al vertice, in centro al capitello dell’altare è parte di uno stemma molto più ampio e appartiene a Giovanni Domenico Card. De’ Cupis, che fu vescovo di Adria dal 1528 al 1553 e che amministrò la Diocesi attraverso dei suoi delegati.

TABERNACOLO DEL SACRO CUORE DI GESU

SOGGETTO: tabernacolo.

UBICAZIONE: cappella del Crocefisso, parete sinistra, arcata prima.

EPOCA: XX secolo.

AUTORE: Piva Cesare di Fasana Polesine.

DIMENSIONI: a pianta rettangolare, misura cm 62 in facciata per cm 51 di profondità e cm 53,5 di altezza.

TECNICA: impasto policromo di polvere di marmo, graniglia e cemento bianco. La realizzazione degli elementi necessari è stata ottenuta mediante stampi in gesso nei quali è stato versato l’impasto fino a ottenere la presa e la solidificazione dello stesso. La graniglia utilizzata è di granulometria molto fine, per permettere ad elementi di così ridotte dimensioni, di formare un corpo unico ben amalgamato; l’effetto ottenuto è che ogni pezzo sia stato ricavato da un blocco o lastra di marmo. Questa tecnica è tutt’oggi utilizzata in edilizia e si presta alla realizzazione delle più fantasiose opere di decoro e abbellimento. Solo in pochi casi viene ancora eseguita a mano da artigiani, mentre la maggior parte del materiale in circolazione è di tipo prefabbricato

DESCRIZIONE: Il ciborio raffigura un piccolo tempio realizzato con l’assemblamento di veri elementi. Con il bianco si sono realizzate le pareti e le cornici del basamento e della parte superiore. Con il verde sono stati realizzati i quattro angoli di forma regolare squadrata a mò di pilastri, il pavimento, la base e il cappello del ciborio; con il rosso è stato realizzato il portale di semplice fattura. Questo è costituito da due colonnine con basamento e capitello che sorreggono il timpano. La porta, apribile verso l’esterno è dello stesso impasto del portale; nella parte centrale è stato applicato un cuore in metallo sovrastato dalla fiamma: un richiamo esplicito al Sacro Cuore, a simboleggiare l’ardore del suo amore misericordioso.

NOTIZIE STORICHE: Il tabernacolo è un’opera realizzata nel 1960. Dopo un iniziale uso, è stato tolto e depositato in sacrestia; con il ripristino della cappella del Crocefisso nel febbraio 2021 è stato ricollocato al suo posto originale.